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SVEVO

SVEVO

di e con Mauro Covacich

a cura di Franco Però
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

Mauro Covacich tiene una lezione raffinata ed appassionante in cui gli spettatori, – grazie a questo straordinario docente, alla sua cultura – intraprenderanno un itinerario affascinante, talvolta impegnativo, sempre profondamente induttivo, attorno alla scrittura e alla personalità di Italo Svevo.

Personaggio monumentale e sfaccettato, tardivamente riconosciuto e clamorosamente antesignano, Svevo richiede al lettore una particolare attenzione e sensibilità per essere pienamente compreso e colto nella sua meravigliosa complessità. Non è sufficiente concentrarsi sulle pagine del suo libro, sul fluire delle parole, sui cardini stilistici che smantella e reinventa.

È necessario invece partire più da lontano e affrontare la non semplice impresa di conoscere la città dalle molte anime e culture in cui Svevo è radicato: Trieste. È necessario cogliere i concetti e gli interrogativi racchiusi – come in un caleidoscopio – nel suo capolavoro “La Coscienza di Zeno”, superarne le letture di cliché, osservarlo nel sistema in profonda evoluzione della coeva narrativa europea. Si deve inoltre saper riflettere sul paradosso della lingua in cui è scritto il romanzo, l’italiano, che per l’autore – uno dei massimi esponenti del Novecento letterario italiano – non era la lingua madre, ma quella appresa sui libri di scuola.

Non è semplice addentrarsi in questi percorsi, comprenderne la portata: bisogna possedere chiavi particolari, come quelle di Mauro Covacich. Uno scrittore innanzitutto, uno scrittore triestino di nascita, che pur seguendo la propria luminosa carriera nazionale e internazionale conosce bene quell’identità, quella meravigliosa ricchezza, quella segreta, fertile complessità che Aaron Hector Schmitz ha incastonato, come in un rebus, nel suo nom de plume: Italo Svevo.

«Passava a prenderci col suo autobus. Il 29, o la 29, come si dice a Trieste» scrive Mauro Covacich pensando a questo suo atto unico. «Era riuscito a farsi dare il turno del mattino, per motivi di salute. Io e mia sorella salivamo insieme a qualche compagno di classe e lui era lì, bello nella sua divisa, che guidava. Penso all’invidia dei nostri amici. “Non parlare al conducente”… Noi gli parlavamo eccome. E lui ci rispondeva. Mia sorella alle elementari, io alle medie. Scuola Italo Svevo. In via Italo Svevo.

Cosa sapeva mio padre di Italo Svevo? Poco, credo. Non ho fatto in tempo a chiederglielo, se n’è andato troppo presto. Ma anche di me non sa niente. Non sa cosa sono diventato. E neanch’io so cos’è diventato lui. Eppure ci facciamo compagnia. Mi capita spesso di vederlo, che mi controlla con quel suo sguardo beffardo, se le sparo troppo grosse, se sono troppo complicato. Ci parliamo, anche. Ora ad esempio potrebbe dire una frase tipo: Vara che no xe una seduta spiritica, xe una lezion. Okay, papà».

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