TITUS – Why don’t you stop the show?

30 settembre . 12 ottobre

Perché mettere in scena il Tito Andronico oggi? Cosa ci racconta? Nel tempo in cui viviamo, si tende a cercare il giusto e il colpevole, l’eroe e l’assassino, il simbolo del bene come il simbolo del male, come se nel nostro tempo le parole bene e male avessero ancora un senso. Ma dov’è che un buono diventa assassino?

TITUS - Why don't you stop the show?

La violenza è un modo di essere.
E c’è una soglia nel cuore
dell’animo umano in cui
nulla ha più senso,
nulla è più giustificato,
e la ragione cade in pasto
alla bestialità degli orrori.

 

Perché il Tito?

Perché mettere in scena il Tito Andronico oggi? Cosa ci racconta? Nel tempo in cui viviamo, si tende a cercare il giusto e il colpevole, l’eroe e l’assassino, il simbolo del bene come il simbolo del male, come se nel nostro tempo le parole bene e male avessero ancora un senso. Ma dov’è che un buono diventa assassino? E dove il contrario? Da che punto la violenza può generare
qualcosa di buono e fino a che punto siamo disposti a indagarci per saperlo? Popoli affiancati, cresciuti sulla stessa terra, ma pronti a vendicarsi, giustizieri di paesi che impongono la pace
torturando e vessando, padri e figli proprio come loro in qualche lager del mondo. Ci si abitua a tutto, perfino alla violenza, alle barbarie, e sembra che la violenza successiva sia sempre meno peggiore della precedente, perché è la violenza stessa che educa i nostri occhi a non sviare lo sguardo e la nostra morale a sprofondare in quel buco nero del “è giusto così”.

Parliamo di una Roma antica, chiaramente, di un popolo germanico e di regine e tribuni, di imperatori e soldati. Ma parliamo di stupri efferati, di umiliazioni e torture, di quel senso mostruoso di normalizzazione, quel sordo stridulo suono che ovatta ogni grido di donna e di madre. Un bambino giace sulla pancia del proprio padre, una donna viene stuprata nel corpo e nell’anima come bottino di guerra, un figlio morto per ogni proprio figlio caduto. Un codice così lontano, ma così mostruosamente vicino, così mostruosamente abituale. E allora il Tito va raccontato, va messo in scena, sperando che almeno in quella strana architettura del teatro qualcuno possa gridare basta e indignarsi, perché questo è il limite più grande del nostro tempo: non ci indigniamo più davanti all’orrore e alle brutture del mondo.

Davide Sacco

 

 

La messinscena
Sul fondo un’enorme pila di cadaveri tutti in un sacco bianco, tutti senza patria né bandiera, solo cadaveri. Non sappiamo di chi sono figli e di chi sono padri, perché un cadavere non è più un figlio né un padre.

Lo spettacolo punta a portare lo spettatore su un piano di enorme pericolo: una sensazione in cui tutto può accadere e lo stesso spettatore può essere messo in gioco in ogni momento. I suoni, le ambientazioni, perfino quella crudezza del sangue e la macabra e ancestrale ripugnanza verso quel rosso saranno elementi disturbanti, forse perché ci disturba pensare che tutte le nostre giustifiche del “tanto è tutto così lontano” possano cadere. Le immagini riproposte saranno sicuramente citazioni a quell’enorme quantità di aberrazioni che la cronaca e i media ci hanno abituato a scorrere, ormai assuefatti. Un repertorio collettivo dell’orrore che ormai ci accomuna tutti e non ci scandalizza più.

Si informano gli spettatori più sensibili, che nello spettacolo Titus – why don’t you stop the show è presente del sangue fittizio e della violenza scenica, funzionali al contesto narrativo della pièce. La visione è pertanto consigliata ad un pubblico consapevole.

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